Gli atti impositivi precedenti alla dichiarazione di fallimento devono essere notificati anche al Curatore per metterlo nelle condizioni di esercitare le azioni di tutela in favore della massa dei creditori. È quanto emerge dalla sentenza n. 18002/2016 della Quinta Sezione Tributaria della Corte di Cassazione.

Una Curatela fallimentare ha ottenuto dalla CTR del Veneto l’annullamento di una cartella di pagamento alla quale non sono stati allegati gli atti impositivi presupposti (avvisi di accertamento per Iva, Irpef e Irap) notificati solo al contribuente quando era ancora “in bonis”.

La Suprema Corte, nel respingere il gravame dell’Amministrazione Finanziaria, ha segnalato l’esistenza di un “doppio binario” nell’accertamento tributario in caso di fallimento.

I supremi giudici hanno evidenziato che, qualora il presupposto impositivo sorga ante dichiarazione di fallimento e la notifica al contribuente sia stata già eseguita prima di quella data, si deve procedere a separata notifica anche nei confronti del Curatore, una volta aperta la procedura fallimentare. Va escluso, infatti, che, in forza di un preteso subentro automatico del curatore al fallito, la notifica dell’avviso di accertamento effettuata al contribuente in bonis sia idonea a far decorrere il termine per la sua impugnazione anche nei confronti del Curatore fallimentare sopraggiunto in pendenza di detto termine, e in ultima analisi che l’intervenuta definitività dell’atto medesimo sia opponibile alla massa dei creditori. Di conseguenza è necessario “che il curatore sia messo direttamente in condizione, tramite apposita notifica a lui indirizzata, di esercitare le azioni a tutela della massa dei creditori. E ciò a prescindere dagli ulteriori rilievi svolti sulla ritenuta superfluità, in sede fallimentare, della notifica della cartella di pagamento (dalla quale, nel caso di specie, ha preso origine la controversia in esame), e della possibilità per il curatore di impugnare autonomamente il ruolo sulla cui base sia stata proposta domanda di ammissione al passivo, dovendosi in ogni caso ritenere che l’interesse concreto ed attuale del curatore a contestare l’atto impositivo insorga solo a seguito dell’insinuazione al passivo del credito tributario”.
È ampiamente consolidato l’orientamento di legittimità per cui “l’accertamento fiscale avente ad oggetto obbligazioni tributarie i cui presupposti siano maturati prima della dichiarazione di fallimento del contribuente, ovvero nel periodo d’imposta in cui tale dichiarazione è intervenuta, ove sia stato notificato soltanto al fallito, e non anche al curatore del fallimento, è inefficace nell’ambito della procedura fallimentare” (da ultimo: Cass, n. 9943/2015, n. 25689/2015); mentre, nell’ipotesi in cui il fallimento del contribuente intervenga successivamente non solo alla notifica dell’avviso di accertamento ma anche all’instaurazione del giudizio d’impugnazione, ove il processo non sia stato interrotto ed il Curatore non si sia costituito, la relativa sentenza non è opponibile alla procedura (Cass. n. 22809/2014).

Inoltre è ormai ius receptum che l’accertamento tributario, se inerente a crediti i cui presupposti siano insorti prima della dichiarazione di fallimento, deve essere notificato sia al curatore sia al contribuente fallito il quale non è privato, a seguito della dichiarazione di fallimento, della sua qualità di soggetto passivo del rapporto tributario e resta esposto ai riflessi, anche di carattere sanzionatorio, che conseguono alla definitività dell’atto impositivo.

Ebbene, a questi principi si è uniformata la CTR del Veneto. Perciò la Suprema Corte ha respinto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate la quale è stata condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità (euro 7.500,00 oltre rimborso forfettario e accessori di legge) in favore della Curatela fallimentare.
AUTORE: PAOLA MAURO